Si pone a cavaliere di un certo pop underground questo ragazzo di New Haven cresciuto negli umori culturali della Grande Mela, che con il suo secondo Stars After Stars After Stars rielabora talune cover ricercate a ridisegnare piuttosto la sua identità. Il suo debutto nel 2001 è con il disco The Very Thing You Treasure e ora, con questo recente album, per Spike Priggen si delinea un percorso alternativo alla sua produzione per guardare a sé stesso da un altro punto di vista. Il risultato offre all'attenzione un disco non lontano da una linea esplicitamente new-wave, che sta tra Lennon e David Bowie, a cui lo stesso Spike dice ispirarsi. Sicché lo ritroviamo immerso in quanto della metropoli newyorkese furono talune sonorità di un periodo, che ha segnato un tassello di storia del rock. Il curriculum del nostro lo vede nella sua militanza in alcune band indipendenti, nei suoi trascorsi attraverso scene sotterranee del Connecticut, fintanto che l'approdo a New York City ne costituisca quasi l'ovvia prosecuzione, nello scenario di un certo power-pop di leggendaria J&H Production - Ramones, Big Star, Alice Cooper… -. E il personaggio, a metà tra un improbabile Waits acqua e sapone e un volto lontanamente rassomigliante al giovane Patrick Swaize, compare in primo piano in ogni meandro del cd quasi ad atto d'egocentrismo, se non fosse poi che i pezzi cantati sono tutti di altri.
L'interno del booklet vi rende merito, con un collage di varia provenienza e ritagli caricaturali da Elton John ai Cheap Trick by Sabatino '75. Non resta così che l'intervento di alcuni musicisti per delle songs intagliate nella medesima vena artistica, dalla collaborazione dei chitarristi Ivan Julian, Mark Spencer o John Graboff, al basso e batteria rispettivamente di Denny Weinkauf con Scott Yoder e Brian Doherty, C.P. Roths alle tastiere. Apre una In The Inside che sembra far rimembrare Heroes di David Bowie, su di una voce quasi alla Ryan Adams, indi a seguire la terza How We Were Before i cui tratti somigliano a delle ballate alla Rem, tra chitarre e voce. Resta cupa e malinconicamente distorta la Big Store a metà del disco, prima che la settima traccia Plainsailing si scopra tra le cose migliori insieme alla più dura I'm Eighteen, Slow Soul e l'ottava Questioningly tra le ballads più classicamente all'americana, per Stars After Stars. Un insistente audio-liner note data da un lungo dialogo fantasma è infine, prima del commiato con un interessante e più grezzo senza titolo: forse un'anticipazione di un prossimo lavoro autografo? (Matteo Fratti) Link